Il nostro valore, le persone
Intervista a Paolo Casabianca, animatore nel centro diurno per la salute mentale Fili e colori di Firenze
Come cooperativa qual è il nostro più grande e importante valore? Le persone. Tante, più di 1600, che rendono la nostra cooperativa una realtà importante per tutta la Toscana fin dal 1977.
Chi sono le persone che lavorano in Di Vittorio? Come svolgono il loro lavoro, qual è la motivazione che le guida? Sempre di più vogliamo raccontare le loro storie e la passione con cui si mettono in gioco, ogni giorno.
Oggi abbiamo incontrato Paolo Casabianca, 57 anni, animatore presso il centro diurno per la salute mentale Fili e colori di Firenze.
Andiamo a trovarlo nell’atelier di attività espressive in cui lavora e ci racconta che il suo percorso è iniziato molti anni fa. Paolo è la figura centrale dell’atelier e inoltre segue dei gruppi di psicoeducazione bipolare insieme ad alcuni medici, oltre agli inserimenti lavorativi dei gruppi appartamenti. Nel suo lavoro rientrano anche i progetti individuali riabilitativi per pianificare il PTI (Piano Terapeutico Individuale) per gli utenti.
Un lavoro ampio che spazia tra tanti compiti diversi, in cui Paolo ha messo in gioco le sue competenze artistiche e anni di esperienza in contesti lavorativi molto diversi tra loro.
Le stanze dell’atelier sono piene dei lavori della comunità. E il concetto di comunità è importante per osservare un luogo così. Nel centro diurno infatti ospiti e operatori creano insieme, entrano in una relazione che non è mai a senso unico, ma sempre circolare. Fanno parte quindi di una comunità che rende vivo questo luogo ogni giorno, con uno scambio continuo di pensieri, passioni e arte.
Per questo chiunque entri nel centro diurno viene circondato dall’arte, dalle creazioni degli utenti e degli operatori e ciò aiuta le persone, con la guida degli operatori come Paolo, ad aprirsi a nuove possibilità.
Le giornate di Paolo sono molto variegate e il vero punto fisso è l’atelier in cui le attività vengono svolte.
Quali sono le competenze fondamentali nel suo lavoro? Paolo ne individua tre:
- la prima è il saper lavorare in gruppo, integrando il proprio intervento con quello delle altre figure professionali coinvolte;
- la seconda è il saper ascoltare, sia l’utente che i colleghi. Una capacità di ascolto che non deve essere abnegazione, un dimenticarsi di sé. Oltre all’utente e ai colleghi, è fondamentale in questo lavoro saper ascoltare anche sé stessi;
- l’ultima qualità importante è l’assertività, cioè il saper difendere il proprio punto di vista tenendo comunque conto delle indicazioni dei colleghi con cui si collabora.
Sono caratteristiche estremamente importanti per lavorare in percorsi riabilitativi con gli utenti nell’ambito della salute mentale.
Questo lavoro porta con sé anche delle insidie e dei rischi, da cui stare in guardia.
Il rischio principale è legato alla percezione sociale della professione di chi lavora nell’ambito della salute mentale. Si rischia di essere considerati come “una persona buona”, e non c’è nell’opinione pubblica una percezione netta delle differenze tra un operatore professionale e un volontario.
Non si fa però questo lavoro per cercare la gratificazione di “sentirsi buono”. Gli operatori non sono volontari, bensì lavoratori che giorno dopo giorno devono mettere il massimo impegno e professionalità in tutto quello che fanno, non solo nell’interazione con gli utenti, ma anche nella gestione di processi e procedure e nella misurazione dei propri risultati. Questo aspetto del lavoro spesso non è riconosciuto a livello sociale.
Al contrario, come ogni lavoro a contatto con le persone, quello dell’educatore/animatore è un ruolo che arricchisce, che fa crescere nella consapevolezza di sé e dei propri limiti, grazie all’esperienza dell’interazione con gli altri.
“Io non lavoro ogni giorno qui per sentirmi un santo, non cerco una gratificazione esterna. Non è questo che mi guida e rischierei di rimanere molto deluso se questo fosse il mio obiettivo.
Amo il mio lavoro e le esperienze vissute qui mi arricchiscono, ne esco cresciuto, più consapevole, dei miei limiti e del mio essere ‘umano’.”
Negli anni il lavoro dell’educatore di un centro diurno è cambiato molto. Il modello di intervento è passato da quello con gruppi ristretti ad uno con gruppi più ampi, con il vantaggio di una maggiore condivisione e contaminazione di idee e di stati d’animo con gli altri, che aiutano la diagnosi e conseguentemente la riabilitazione. Purtroppo la pandemia ha modificato nuovamente il flusso e dopo il Covid-19 il lavoro è tornato ad essere più individuale.
Parallelamente, c’è stata una crescita del riconoscimento della dimensione professionale che è andata trasformandosi dal modello medico-centrico, in cui l’educatore era di supporto al lavoro del medico, verso un ruolo autonomo, incentrato sulla riabilitazione. Questo anche grazie al fatto che gli interventi sono sempre più precoci e quindi gli utenti spesso hanno problemi meno gravi e il percorso riabilitativo può essere intrapreso in modo più tempestivo.
Il tempo passato con Paolo ci ha fatto capire la passione con cui affronta ogni giorno il suo lavoro, l’importanza che vede in quello che fa e di quanto la ‘persona’ che abbiamo davanti possa far la differenza nel percorso di vita di ognuno di noi.
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