Alzheimer: in visita a “Il Paese Ritrovato”

Lo scorso 21 novembre la Vicepresidente della Cooperativa Lorella Masini e il responsabile del Settore Anziani Carmine Di Palma hanno visitato a Monza “Il Paese Ritrovato”, il primo villaggio in Italia dedicato alla cura di persone con forme di demenza e affette dalla sindrome di Alzheimer, aperto nel giugno 2018. Progettato dalla cooperativa La Meridiana, questo “borgo” si ispira all’esperienza del Centro Alzheimer olandese.
Come racconta Di Palma, il direttore della cooperativa Roberto Mauri ha spiegato come in questi anni La Meridiana abbia lavorato per costruire tutti i gradini di una “Rete per la presa in carico degli anziani”, che punta a seguire l’anziano da quando sta bene fino all’hospice. In quarant’anni di esperienza, la cooperativa ha lavorato nel fare sperimentazioni con servizi nuovi man mano che emergevano nuovi bisogni echiedendo successivamente alla Regione di inserirli nella rete dei servizi pubblici necessari per garantire la continuità delle cure. Tra i servizi che seguono vi sono: Rsa, Hospice, Centro diurno, RSA aperta una residenzialità proiettata al domicilio, Centro diurno Alzheimer e Centro Alzheimer. Fino ad arrivare, tra gli ultimi arrivi all’ideazione de “Il Paese Ritrovato”.

Il Paese Ritrovato

Il progetto “Il Paese Ritrovato” è costato circa 10 milioni di euro (7 milioni provenienti da privati e Fondazioni). Oggi gli ospiti sono privati cittadini. La cooperativa sta lavorando con la Regione Lombardia per cercare di fare inserire l’esperienza in un progetto sperimentale.
Il piccolo borgo, di circa 15.000 metri è stato progettato sulla base del centro Alzheimer olandese, secondo un concetto di piazza rovesciata: al centro ci sono i negozi e intorno ci sono due palazzine dal nome Monza e Brianza collegate attraverso un corridoio. Tutta la struttura è come un piccolo paese circondato dalle due palazzine e da pezzi di recinto alti ed ha una unica uscita controllata con sistemi di allarme.

La persona anziana viene inserita nel “Il Paese Ritrovato” quando la condizione dell’Alzheimer è tale da impedirgli di restare a casa, ma allo stesso tempo non è tale da inserirla nel centro Alzheimer; la malattia è in fase lieve o moderata (la valutazione è fatta sulla base della clinical dementia rating scale). Le persone vengono chiamate “residenti” o “abitanti”, eliminando quell’etichetta della demenza che molte volte anziché aprire chiude delle opportunità.
Il centro mira a favorire il benessere della persona, la sua inclusione e partecipazione, a stimolarne e valorizzarne le capacità.
Nel borgo non ci sono limitazioni strutturali: le persone sono libere di muoversi. La sfida di coniugare sicurezza e libertà è stata risolta grazie a un monitoraggio a distanza: c’è un controllo da parte di un operatore per ogni appartamento, attraverso uno smartphone ci si collega a dei braccialetti che consentono di localizzare le persone.
Per risiedere nel borgo occorre essere autonomi nella deambulazione e nell’alimentazione, anche se ci sono problematiche comportamentali. Eventuali dimissioni avvengono per condizioni instabili di salute e deficit cognitivi gravi.
Gli appartamenti sono 8, in ognuno ci sono 8 camere singole con bagno in camera.
C’è un oss ogni due appartamenti. Nelle ore diurne sono presenti al villaggio altre figure: il direttore, gli psicologi, il fisioterapista e gli animatori.
Il Borgo prevede un polo centrale con diversi negozi dove si svolgono una serie di attività: ad esempio al market la persona si reca con una lista della spesa concordata con l’operatore. Gli ospiti non cucinano negli appartamenti, i pasti arrivano dalla Rsa.
Per quanto riguarda l’accesso dei parenti, anche se ci sono orari indicativi, possono entrare liberamente e trattenersi quanto vogliono, anche di notte laddove se ne ravvisa la necessità. La struttura permette un’apertura alla cittadinanza, ma sempre mediata dall’organizzazione.

Dall’apertura a oggi sono stati osservati una serie di indicatori (tono dell’umore, funzionalità, aumento del tempo attivo scelto dall’ospite, utilizzo spontaneo degli spazi privati e pubblici): in media il comportamento è migliorato con una conseguente riduzione della terapia farmacologica. È stato inoltre constatato come l’aggressività sia sempre legata all’ambiente e alle relazioni, e si riduca modificando questi fattori.

L’alleanza terapeutica
Il centro utilizza l’ambiente come motivazione a muoversi. Il paese diventa un “facilitatore” per compensare con stimoli ambientali e relazionali: perché questo possa succedere ci deve essere alla base un’alleanza terapeutica. Il gioco rappresenta una modalità per le attività fisioterapiche: il fisioterapista, dopo aver osservato l’anziano mentre gioca, sceglie il gioco che potrebbe essere più idoneo al miglioramento posturale e di deambulazione.
Il pensiero di fondo che guida l’intervento fisioterapico è che gli ospiti, mantenendo la memoria a lungo termine mantengono il ricordo degli schemi motori passati: ad esempio sedersi al bar è uno schema passato che la persona rimette in moto in modo automatico e che attiva una riabilitazione e un benessere, perché la persona si riconosce in qualcosa che sa fare.
Tutto l’intervento cognitivo si basa su interventi sia strutturati che informali ma soprattutto su stimolazioni ambientali nell’arco delle 24 ore. Le stimolazioni strutturate avvengono in un luogo specifico del villaggio: il “centro allenamenti”. Le attività non vengono imposte ma le persone, supportate dall’operatore, guardano le locandine che presentano delle attività presso la proloco del paese ed in base alle proprie “preferenze” si iscrivono.